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Manifesto per le Amministrative: invito alla riflessione per i candidati sindaci della provincia di Verona

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partecipazionedi Paolo Ricci*
Nel terzo millennio la tutela dell’ambiente non può più costituire il punto programmatico di una parte politica giocato in competizione con altri contrapposti dagli avversari. Certamente la dialettica democratica richiede sempre la presenza di una polarità, maggioranza e opposizione. È anche vero però che questa dialettica, onde evitare pericolose derive autoritarie, deve svolgersi all’interno del perimetro di categorie valoriali e regole condivise. Ad esse bisogna aggiungere ora anche la tutela dell’ambiente perché non più configurabile come opzione, ma come necessità ineludibile.
Infatti, tenuto conto degli incrementi demografici attesi nel mondo, della crescita della domanda di beni di consumo dei paesi più svantaggiati, l’eco-efficienza del nostro sistema produttivo dovrebbe aumentare di 10 volte. E questo sarebbe possibile solo utilizzando il 10% delle risorse che oggi impiegano le società industriali. Altrimenti servirebbero altri pianeti. Gli economisti ci dicono che nessuna innovazione tecnologica può garantire questo risultato. E’ inevitabile quindi che il modello eco-sostenibile del futuro prossimo dovrà essere radicalmente diverso dall’attuale. Le leggi economiche diventano così leggi fisiche. Questo scenario non può essere rimosso dalla amministrazione locale, perché lontano e ricadente nelle disponibilità di decisori altolocati, ma costituirne il riferimento primo da cui far discendere tutte le politiche del territorio. Quindi concorrere dalla base alla costruzione di un sistema. La nostra città non può farsi cogliere impreparata, ma trasformare lo svantaggio della crisi economica in un’occasione di radicale cambiamento, assumendo proprio l’Ambiente non solo come bene primario da difendere, ma come motore di un diverso sviluppo in grado comunque di produrre ricchezza. Cerchiamo di indicare sinteticamente gli anelli di una filiera d’interesse per un candidato Sindaco.
Traffico
Negli ultimi 11 mesi del 2011 ARPA Veneto ha registrato 105 giornate in cui il livello di polveri sottili ha superato il valore dei 50 microgrammi per metro cubo, già di gran lunga superiore al limite stabilito dalle legge comunitaria di 35, che fa di Verona la terza città più inquinata di Italia dopo Torino e Milano. Il traffico costituisce la componente principale dell’inquinamento dell’aria con pesanti ricadute sulla salute dei cittadini, in termini d’incremento della mortalità a breve e medio-lungo termine, nonché maggior prevalenza di patologie croniche, come ribadito unanimemente dalla letteratura scientifica.
S’impone quindi una drastica riduzione del traffico veicolare privato, a partire dal centro storico, con ZTL che consentano soltanto: ai disabili i propri spostamenti, ai residenti il raggiungimento della propria abitazione, ai negozianti il carico-scarico merci, agli artigiani il trasporto delle attrezzature, oltre il transito di mezzi pubblici. Naturalmente vanno incentivati i veicoli elettrici o metanizzati e penalizzati quelli maggiormente inquinanti. Sono da prevedere parcheggi scambiatori per auto e motocicli in diversi poli della città ubicati in aree esterne che non comportino impatto per alcuna popolazione residente, collegati con una rete di navette, ad alimentazione elettrica o in subordine gas metano, ad alta frequenza di transito e funzionanti per l’intero arco della giornata, in grado quindi di raggiungere sempre i diversi quartieri della città.
Sono da respingere soluzioni di trasporto pubblico almeno urbano, ma tendenzialmente anche extra-urbano, che prevedano trazioni diesel con abbattimenti delle emissioni più o meno spinti, ma mai azzerabili. Queste notoriamente contribuiscono ad alimentare le componenti dell’inquinamento atmosferico più pericolose per la salute.
Parallelamente va prevista una rete continua e protetta di piste ciclabili, con parcheggi e possibilità di noleggio giornaliero, che possa costituire una parziale alternativa all’utilizzo del mezzo collettivo motorizzato.
Sono da rifiutare interventi di cosiddetta riqualificazione ambientale che prevedano, spesso come contropartita a Project Financing, strutture attrattive di traffico, quali centri commerciali, stazioni di servizio, cinema multisala, ristorazioni di massa, ecc.
Analoga considerazione vale per le grandi opere di attraversamento della città che se in via teorica sembrano, anche alla luce di autorevoli valutazioni, decongestionare alcune aree urbane, pur a prezzo di un’importante consumo del territorio e del paesaggio, a gioco lungo finiscono per richiamare traffico che si espande seguendo la logica dei vasi comunicanti, per cui nulla viene risparmiato. E questo nell’esperienza internazionale. Se poi si aggiunge la spada di Damocle di un Project Financing che legittimamente esige la garanzia di un profitto agli investitori privati, ogni eventuale vincolo introdotto in fase di progettazione è destinato progressivamente a cedere. Sui piatti della bilancia scompaiono i benefici apparenti e permangono i costi reali, cioè l’ulteriore consumo dell’ambiente che ci ospita.
Rifiuti
In Europa la pratica dell’incenerimento è in declino, in Italia è diventata invece una delle principali attrattive degli investitori per la produzione di energia. Gli impianti dedicati hanno così modificato il fine per cui sono stati inizialmente progettati e costruiti. Non più la distruzione dei rifiuti per ridurre i conferimenti in discarica, ma l’utilizzo dei rifiuti quale fonte energetica, da cui il cambio di nome in “termovalorizzatori”. Acerrimi concorrenti dell’inceneritore, gestito per lo più da aziende partecipate che perseguono legittimamente un profitto, sono quindi la raccolta differenziata, il riciclo e le produzioni industriali virtuose che producono meno scarti, perché sottraggono loro un combustibile non solo gratuito, ma addirittura retribuito. Se non fosse per l’inquinamento ambientale e il conseguente danno alla salute che fumi e ceneri di questi impianti producono, si tratterebbe di un mero problema di mercato. Invece i danni ci sono, più o meno grandi a seconda delle dimensioni dell’impianto e della tecnologia impiegata, e la letteratura scientifica li riporta, non solo cancro ma anche eventi avversi della riproduzione che colpiscono la vita alla radice. La comunità scientifica è divisa non tanto sull’effettività del danno ma sulla sua entità e quindi sulla conseguente tollerabilità sociale, che a volte risulta molto ampia come per l’accettazione del rischio d’incidente stradale. La responsabilità della scelta ricade però da ultimo sul Sindaco, in quanto prima autorità sanitaria e rappresentante della volontà generale. Se il problema è lo smaltimento dei rifiuti, la scelta più salubre, ed anche più economica per un bilancio pubblico (e non privato), rimane indubbiamente la raccolta differenziata e il riciclo che proprio in una brillante esperienza veneta si approssima ormai ad una efficienza del 100%.
Riqualificazione urbana
Sembra quasi ineluttabile che il capitale privato possa essere coinvolto in opere di interesse pubblico soltanto se queste prevedono colate di cemento e nuova occupazione di territorio. In una economia di mercato l’offerta potenziale di questo capitale non può però essere ignorata, soprattutto in una fase di riduzione dei trasferimenti locali del capitale pubblico, talché appare necessario promuovere iniziative alternative in grado di garantire un’effettiva concordanza di interessi. E’ a questo punto che l’ambiente può diventare leva di un nuovo sviluppo.
La storia dell’architettura può essere riletta anche come storia del “ri-ciclo”, nella misura in cui le opere del passato non siano state distrutte, per riutilizzarne semplicemente la materia prima come spesso accaduto, ma incluse in una nuova struttura che custodisca il passato senza imitarlo, si giustapponga ad esso aggiungendo elementi di contemporaneità per creare un’opera altra, integrare passato e presente, e conferire così all’insieme un nuovo significato espressivo. “Ri-ciclo” quindi nella duplice valenza di recupero dinamico e creatività formale. Il duomo di Siracusa, in cui un tempio greco è inglobato in una chiesa cristiana, ne costituisce uno degli esempi storici più emblematici. Ma è a partire dagli anni ’70 che questa pratica ha assunto una diversa consapevolezza, sollecitata dalla rapida trasformazione del paesaggio industriale e post-industriale che con il suo indotto di periferia urbana abbandona e conquista sempre nuovi spazi incrementando un consumo insostenibile di territorio. Numerose sono le esperienze compiute ormai in tutto il mondo: il tunnel di Trento, il rifugio antiatomico di Stoccolma, la discarica di Barcellona, la ex-city-car di Detroit, le cave di San Paolo del Brasile, ecc. Quindi modi intelligenti ed anche artisticamente allettanti per riqualificare aree urbane dismesse e quartieri degradati esistono in concreto. Richiedono soltanto progetti di ampio respiro per ottenere contestualmente investimenti redditizi e valorizzazione del bene comune.
Innovazione tecnologica
Nella lontana Porto Torres e nella vicina Porto Marghera, due dei 44 Siti inquinati di Interesse Nazionale (SIN) causati dall’industria chimica, si è deciso di sfruttare l’occasione degli interventi di bonifica ambientale per dare vita ad un parco di ricerca scientifico tecnologico che partendo dalla contingenza di fornire risposte all’esigenza del risanamento, andasse oltre, verso la sperimentazione di produzioni i a basso impatto ambientale. A Verona almeno una parte delle aree industriali dismesse potrebbe trovare questa destinazione d’uso, partendo da eccellenze tecnologiche e da background già presenti per orientarli in questa direzione. La parte più lungimirante della classe imprenditoriale potrebbe essere convinta nel partecipare a questa operazione, sulla scorta di esperienze di riferimento. La sinergia con i centri di ricerca verrebbe di conseguenza, così come la creazione di un indotto qualificato non appiattito sul comparto commerciale tradizionale.
Cultura
La cultura è vittima del luogo comune, proferito purtroppo anche in sedi istituzionali, secondo cui “con la cultura non si mangia”. Dietro questa valutazione tranchant sta la convinzione che la cultura non sia anche una merce, cioè un ente provvisto di valore d’uso e valore di scambio, ma tutt’al più un catalizzatore tecnologico della produzione di merci che non si possono definire tali se non possiedono il carattere della materialità. Se consideriamo che il valore di mercato di un’opera d’arte non dipende dal lavoro necessario per costruirla, ormai demandato a tecnici esecutori, ma dal lavoro intellettuale che ha generato l’idea, allora i conti non tornano. Si definisce quindi merce anche un’ entità immateriale, purché sia collocabile in un mercato caratterizzato da una domanda e da un’offerta di questo tipo di merce. Ricordiamo che il mercato è per sua natura amorale e funziona sia che si mettano in circolazione automobili, organi umani o poesie. L’importante è il gioco della domanda e dell’offerta. Se vogliamo evitare il superamento della resilienza del nostro Pianeta, cioè la capacità di subire un’azione di disturbo senza uscire irreversibilmente dalla sua condizione di equilibrio, non basta più ridurre le emissioni inquinanti, ma neppure ricorrere soltanto alle tecnologie pulite. Sono i consumi che devono diventare ambientalmente compatibili, quindi le merci. Buona parte di queste merci dovranno quindi essere necessariamente “immateriali”, Allora è proprio la cultura a rispondere a tutti i requisiti di un nuovo mercato che per altro richiede spazi sempre più liberi da traffico.
Parigi è la dimostrazione più nota che una città può riconoscere nella cultura il principale motore di sviluppo. Certo Verona non è Parigi, ma può aspirare almeno a fare della cultura una forza propulsiva e non solo un “avanzo”, che spesso deve contendere la scarsità di risorse con i pessimi surrogati del folclore locale. L’università e la scuola costituiscono ottimi riferimenti a cui la città potrebbe aprire le porte in termini di iniziative in grado però di creare progressivamente appeal in fasce più estese di popolazione ed orientare verso nuovi bisogni e quindi consumi “immateriali”. Un’estensione della funzione sociale di queste Istituzioni. A questi punti si dovrebbe tuttavia aggiungere una sistematica ricognizione e valutazione delle tante esperienze culturali extra-istituzionali di qualità che occupano posti di nicchia ma che meriterebbero di essere portate alla luce e promosse da un’amministrazione comunale, favorendo un allargamento del loro pubblico e quindi della domanda di cultura.
Recupero risorse
I vizi dei governanti sono spesso una gigantografia dei vizi dei governati ed i vizi della capitale quella dei capoluoghi di provincia. Quindi cominciamo da noi.
A Verona sono una cinquantina le cosiddette aziende partecipate con rappresentanti del Comune a volte molto ben remunerati. Da sempre una larga sacca di clientela. Fare un po’d’ordine costituirebbe un segnale molto positivo che la politica (in questo caso locale) lancerebbe ai cittadini. Alcune tipologie appaiono francamente anacronistiche, e quindi vanno riconvertite o soppresse. Altre invece, di indubbia utilità sociale, vanno riformate. Sarebbe sufficiente integrare ed aggregare le aziende di trasporto da una parte e le aziende di servizi dall’altra per abbattere la pletora dei consigli di amministrazione e rendere molto più trasparenti le gestioni, con significativi risparmi per le casse pubbliche e quindi maggiori possibilità d’investimento per gli interventi di “riconversione ambientale” della nostra città su cui è necessario puntare.
* Docente di Sanità pubblica. Università Ca’ Foscari di Venezia

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